Omicidio di Pamela, ergastolo confermato per Oseghale. Ma è sempre caccia ai complici
Il nigeriano già condannato all’ergastolo in primo grado. Potrebbe rilasciare nel pomeriggio dichiarazioni. Nei giorni scorsi respinta la richiesta di archiviazione di un fascicolo contro ignoti. Il pg: non ha fatto tutto da solo
Qualche piccolo battibecco, un po’ di nervosismo. Poi Innocent Oseghale è entrato in aula in Corte d’Assise, ad Ancona, per il processo d’appello per l’omicidio di Pamela Mastropietro, la diciottenne romana uccisa e fatta a pezzi alla fine di gennaio 2018 nell’appartamento del 30enne nigeriano in via Spalato, a Macerata, secondo l’accusa dopo essere stata violentata dallo stesso Oseghale.
Assistito dagli avvocati Simone Matraxia e Umberto Gramenzi, il nigeriano ha rilasciato nel pomeriggio dichiarazioni, dopo la replica alle arringhe difensive da parte del procuratore generale Sergio Sottani che l’altro ieri ha chiesto ai giudici la conferma della condanna all’ergastolo per Oseghale: «Voglio pagare per ciò che ho fatto — ha detto l’imputato —. Non per ciò che non ho commesso».
In aula, venerdì mattina, ci sono anche alcuni familiari di Pamela, giunti da Roma: la madre Alessandra Verni, la nonna Giovanna Rita Bellini e lo zio avvocato della vittima Marco Valerio Verni. Proprio loro nei giorni scorsi hanno ottenuto una vittoria nell’ambito delle indagini sulla tragica fine della 18enne: la richiesta di archiviazione di un fascicolo contro ignoti in merito alla morte della ragazza è stata respinta e adesso proprio il pg di Ancona, con i carabinieri del Ros, svolgeranno ulteriori accertamenti per scoprire se, come sospettano, Oseghale abbia davvero agito da solo, sia nella fase dell’omicidio sia in quella del tentativo, fallito, di far sparire i poveri resti della giovane. Si vuole insomma capire una volta per tutte se il 30enne abbia fatto tutto da solo o sia stato aiutato da qualcuno.